Estate Felici

Meglio essere piuttosto approssimativi…

Beh quasi quasi parto da me insomma. Perché per me l’incontro con la salute mentale è stato quasi casuale. Cioè io vengo da un paesino dove, insomma la mia esperienza con chi è diverso, con chi sperimenta e percepisce il mondo in maniera diversa era quella che abbiamo tutti insomma: incrociarsi per strada. Ma non ho fatto percorsi che so all’interno di Associazioni, Scout, parrocchie dove magari incontri insomma i bisogni degli altri.

E all’età di 20 anni lavoravo, facevo la mia vita normale, canonica e… però in maniera insofferente. E lì ho deciso di iscrivermi all’Università, quindi tardi dopo aver fatto il militare, aver lavorato proprio perché non… non mi bastava lavorare e il passatempo nel fine settimana. E non mi iscrissi subito a Psicologia, mi ero iscritto a Scienze Forestali perché il bosco, mi piaceva l’idea di andar per boschi. Poi ho capito che ti preparavano per andare a lavorare in fabbrica a fare mobili e lì ho avuto un moto di fastidio e di nausea – la nausea è un’emozione, una sensazione, una percezione importante almeno così insegnava Basaglia, che è la prima cosa che… a cui lui diede voce era il senso di nausea. Quando entrò in Manicomio disse “Qua o cambio tutto o muoio io” insomma no? Provò nausea, ricordo la storia di Peppe dell’Acqua, che ad una sua lezione parlava di questo insomma… del sentimento di nausea che aveva provato Basaglia.

Per farla breve mollo l’Università, esco e cambio Facoltà. Come? Chiamo un’amica le chiedo tu dove sei, cosa stai facendo “Ah io sono a Psicologia” – “Aspettami che vengo a lezione con te” e prendo questa scelta così, senza avere nessuna proprio idea di ciò a cui stavo andando incontro.. Faccio il mio percorso, mi laureo e in uscita, quando è ora di fare il mio tirocinio, chiedo alla Psichiatria se potevo fare questa esperienza… e lì, e lì mi accorgo che… di questo mondo, di questa realtà, di questa possibilità di incontrare l’altro.

Per me è stato questo insomma… un altro che ti chiede di, una lezione bellissima di un altro grande è stata questa: l’altro che ti chiede di non essere deciso, sicuro; anzi piuttosto di essere approssimativo, no? L’esperto è sicuro, è sicuro, è sine cura – senza cura. Ti dice cosa devi fare, ti dice che farmaci devi prendere e mentre chi non è sicuro è approssimativo e si approssima, è più vicino, a volte. E io così partii, perché non è che fossi tanto preparato e venissi da un contesto dove, insomma, fossi stato in qualche modo introdotto.

E scopro che… che imparo io, che cresco io! E entro in questa esperienza. Finisco il tirocinio, ho fatto un tirocinio bello intenso insomma un 1500 ore in un Centro diurno psico-riabilitativo e insomma accompagnavo i pazienti, le persone a giocare a pallavolo, al mercato, al teatro, alle visite, andavo a casa loro e mi accorgo che alcune relazioni significative lo diventano per i pazienti, per loro, per le persone ma anche per me. Cioè scopro cose nuove di me, scopro che per stare con l’altro… bisogna cercare di capire, bisogna cercare di capirsi, di mettersi in discussione. Di migliorarsi.

Secondo me questa è la mia, insomma, sintesi… un’esistenza che soffre è un’esistenza che ti offre l’opportunità di imparare a stare con l’altro e quindi di tradurre la tua esperienza e la tua conoscenza, ma al confine con l’atro no? Questa esperienza di incontro con l’altro, non glielo puoi imporre. Una cosa che mi ha sempre colpito, vado un po’ a ruota libera, è che quasi sempre nella storia di un paziente psichiatrico in origine c’è quello che viene chiamato un comportamento oppositivo-provocatorio no? Sono quelli peggiori, quelli che provocano, che spaccano, che disturbano, che contestano… insomma che creano problemi. I pazienti difficili. E una prima intuizione che ebbi quando, senza strumenti, provavo a stare con persone difficili diciamo è stata questa “Ma se si oppone… ci sarà qualcosa che si impone no? Non è che magari sono io che mi sto imponendo su di lui, che gli sto imponendo delle cose, il mio ragionamento? Anche solo il rimo a cui sto parlando”.

E allora ho iniziato ad usare la sensibilità dell’altro, la sua vulnerabilità. Anziché insegnargli io come si sta al mondo, ho cercato di imparare insieme con lui come si può stare insieme in una maniera che sia rispettosa di entrambi e nel fare questo ho scoperto che… che io poi stavo meglio con i miei amici, con mia mamma, con mia figlia… imparavo delle cose, ho imparato delle cose che mi sono utili personalmente a me, nel mio percorso di crescita. E questa è un po la mia missione. Per me così provocatoriamente perché lo son diventato anche io poi, molto provocatorio soprattutto verso le Istituzioni e alla chiusura istituzionale.

Leave a Comment.

© Designed by Betulla Studio