Vita randagia
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Bella questa città, adorna di palazzi e monumenti di palladiana memoria, che oggi mi vede girare come fattorino di un’importante azienda per banche, fornitori, uffici postali e altro.
Ma la fiducia che ricevo non è stata facile da conquistare. Quando passo per il centro storico con la mia valigetta sotto braccio ricordo una sera di tanti anni fa. Sotto una pioggia fredda e violenta, al termine di una lezione di scuola serale, mi trovai con il professore di italiano a maledire questa città e con essa la vita. Non avevo un posto dove andare a dormire: mi ospitò a casa sua per quella notte. Cominciò da lì la risalita, e insieme la voglia di riconquistare me stesso e di ritrovare la fiducia che mancava nella mia povera bisaccia.
Prima vivevo di qualche lavoro temporaneo e dormivo nei parchi e nelle piazze, anche nell’incantevole Piazza dei Signori al cospetto della Basilica Palladiana, la sola che mi facesse compagnia. Nei parchi avevo lasciato amici che non avrei più visto e nemici che non avrei mai più conosciuto. Eppure mi era servito incontrare gente che vagava nei parchi e nelle strade per aiutare chi, come me, viveva il mio stesso sbando sociale e umano. Unirmi a loro era stato facile: del resto chi era malato e soffriva aveva bisogno più di me di essere aiutato. Molte giornate ho passato accanto a gente del genere: è un impegno, questo, che ancora vivo in una città che mi è sempre più estranea, anche se bella, anche se mi ha “recuperato”.
Oggi quando passo con l’auto aziendale, vestito di tutto punto, e vedo in lontananza un disperato che chiede la carità o una parola, uno sguardo, mi fermo: spesso lo aiuto come se rivivessi il mio passato. Oggi la mia giornata prosegue con delle certezze che prima non avevo. La speranza, se si ha cuore e fortuna, non va mai perduta.
Forse sono sceso ad un compromesso con questa città così bella nel suo silenzio che inquisisce ed emargina. Quando torno a vedere i luoghi della mia esistenza randagia, un sorriso di ironia o una lacrima di amarezza appaiono sul mio viso. La città continua ad alzarsi e lavorare per produrre ma le persone che restano sperdute nel suo sottobosco sembrano meritare ancora la sua indifferenza. Le porte restano ancora sbarrate davanti a loro come un tempo davanti a me. Oggi capisco quanto sia orribile la bellezza!
Ho imparato che l’emarginazione non dura mai quanto la speranza e che il grido della condanna altrui non è forte come quello lanciato da chi rinasce alla vita.
La città si è aperta a me o sono io che mi sono aperto alla città?
La risposta verrà , ma più avanti, più avanti.